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Intervista a Gregorio Botta
Intervista a Gregorio Botta
La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea ospita le personali Just measuring unconsciousness di Gregorio Botta e Each Second is the last di Maria Elisabetta Novello, dedicate alla memoria di Lea Mattarella.

Just measuring uncosciousness. Gregorio Botta a cura di Massimo Mininni. Misurare l’inconsapevolezza: come lo Stalker di Tarkovskij l’artista è un agrimensore che traccia i confini e le traiettorie in un campo sconosciuto. Gregorio Botta, sfruttando gli spazi della Galleria Nazionale, costruisce un percorso in quattro stazioni, una per ogni sala, quasi un viaggio esistenziale.

 

Gregorio Botta

 

Intervista a Gregorio Botta di Massimo Mininni

1 – Massimo Mininni: La visita alla mostra inizia dalla stanza della Gravitas. L’appellativo è stato scelto perché ogni oggetto esposto, dotato di una sua massa materica, esercita una forza sugli altri. È il caso di Fatti leggero leggero, dove un’energia soprannaturale sembra aver scagliato con forza, sulla grande parete, una moltitudine di pietre, generando, come avrebbe notato Edward Lorenz, un “caos deterministico”. Quando hai deciso di installare questi lavori nella sala, hai pensato all’esistenza di soluzioni caotiche del moto di corpi che interagiscono tra loro attraverso la forza di gravità?

Gregorio Botta: Non pensavo al caos, ma a una sola moltitudine, per citare Pessoa: volevo che tutti quei sassi si muovessero come una nuvola verso “Sisifo”, la scultura dove una pietra gira, instancabilmente, su una sottile stecca di vetro. Come se tutto quel peso precipitasse lì, nel centro di quel cerchio immaginario: ma ciò che mi interessava era far percepire la gravità, e con essa la fragilità, la precarietà di ogni equilibrio. Solo facendo esperienza della gravitá noi possiamo conoscere anche la leggerezza. Per questo ho chiamato l’installazione “Fatti leggero leggero”: me lo diceva mia madre quando mi prendeva in braccio da piccolo.

 

Gregorio Botta

Gregorio Botta

 

2 – M.M.: Nella stanza successiva, quella del Respiro, hai esposto delle serie di formelle realizzate in alabastro, Respiro grande e Senza Titolo, lavori in stretta relazione con la scultura Senza titolo, tre coppe in terracotta dalle quali una luce, inserita nel loro interno, proietta un’ombra sulla parete. Il movimento di questo riverbero, amplificato anche dall’acqua, dà realmente l’impressione che l’opera abbia una vita, un fiato, un respiro. Il respiro è tra le poche cose sempre presenti nella vita, accompagna la nostra esistenza, sino alla morte. Giuseppe Penone afferma: “E poi il respiro è anche il fiato che esce dalla nostra bocca, quando fa freddo. Ha una sua visibilità, che io restituisco in scultura”. Anche per te il respiro è scultura?

G.B.: È proprio quello che cerco di fare: opere leggere come l’aria, con un’idea di movimento. Aria, movimento, fiato, respiro: è la nostra esperienza vitale fondamentale, l’aria è la prima cosa che condividiamo con la natura: quando inspiriamo è come se inghiottissimo una parte di mondo. Gli alabastri e le cere sono come animati da un soffio interno, che preme sulla superficie: intravedi delle forme, dei colori racchiusi al loro interno. Sai che ci sono ma non riesci a sapere davvero che cosa sono: non sai se stanno emergendo o scomparendo. Sono una presenza e una domanda.

[...]




L'intervista completa sarà pubblicata nel catalogo della mostra Just measuring unconsciousness. Gregorio Botta edito da Silvana Editoriale
Foto di Maris Croatto




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